CAMMINARE PER LE ROVINE

Camminare per le rovine delle vecchie miniere è come attraversare a grandi falcate la Storia della Sicilia. Una Storia di ideali traditi, speranze disattese. C’è tutto questo tra le rovine di quella che un tempo era una delle zone minerarie più̀ importanti d’Europa.
Un sottosuolo ricco di zolfo ne è stato insieme la fortuna e la disgrazia. Anche l’aria è impregnata dell’odore intenso dello zolfo. Rottami di ferro arrugginito che continuano a riempire il territorio. Tutto intorno è un disastro. I vecchi impianti di estrazione si stagliano al centro della valle, imponenti come il senso di abbandono che trasmettono.
Per capire la storia delle miniere, ascoltiamo Giuseppe Cordaro vecchio minatore/poeta che fece parte dei “cosidetti carusi” (bambini di tenera età che venivano affidati dalle famiglie estremamente povere ai picconieri in cambio di una piccola somma, per farli lavorare nelle miniere in condizioni simili ai lager) e Filippo Geraci minatore e sindacalista che i ci racconta la storia a partire dal 1900 quando la Sicilia aveva il monopolio dello zolfo con una produzione pari al 90% del fabbisogno mondiale.
La facilità con cui inizialmente venne trovato questo minerale nelle terre siciliane provocò una vera corsa all' “oro giallo”, cambiando la vocazione occupazionale dei tanti contadini delle provincie di Enna, Agrigento, Caltanissetta, che passarono da agricoltori a minatori.
Tutto il prodotto, allo stato grezzo, era destinato all’estero e la commercializzazione era in mano ad operatori stranieri, per lo più inglesi. I sistemi di estrazione rimasero arretrati e lo sfruttamento del lavoro operaio fu sempre più selvaggio: uomini, bambini.
La scoperta di giacimenti di zolfo in Louisiana e nel Texas nei quali fu introdotto un nuovo metodo di fusione del minerale chiamato Frasch, con il quale il minerale si estraeva più facilmente, misero in crisi il settore minerario dell’isola che da quel momento cominciò un lento e inesorabile declino. La mancanza di investimenti nelle innovazioni tecnologiche, l’errato calcolo economico per cui si pensava che lo sfruttamento del lavoro umano rendesse più che la costosa introduzione di macchine, l’inesperienza imprenditoriale e la carenza di infrastrutture nei trasporti favorirono questo declino.
Non mancarono delle iniziative imprenditoriali di un certo interesse: come quella della società The English Sicilian Sulphur Company, sotto la direzione di Ignazio Florio a Palermo, o di Robert Trewella grosso imprenditore zolfifero del catanese che consentì il trasporto veloce dello zolfo alle raffinerie della città e al porto di Catania, o ancora l’ammodernamento degli impianti di alcune miniere realizzate ad opera delle famiglie inglesi Trewella e Sarauw.
Queste iniziative rimasero circoscritte e isolate. Negli anni 1919 venne creato l’Ente Autonomo per il progresso tecnico ed economico dell’industria zolfifera che si occupò dell’elettrificazione delle zolfare. Nel 1933 per fronteggiare la concorrenza americana fu istituita l’Italzolfi con l’intento di raggiungere degli accordi con gli USA. Nel 1964, le miniere vennero rilevate dalla Regione e nacque l’Ente Minerario Sicilia con un programma di assetto che portò alla chiusura delle miniere marginali o in fase di esaurimento. Tre anni dopo le miniere residue passarono alla Società chimica mineraria siciliana. Anche la gestione pubblica delle miniere non riuscì ad arrestare la gravissima crisi che aveva travolto il settore. Fu la legge 34/88 a sancire la chiusura definitiva di tutte le miniere di zolfo siciliane.
Da quel momento nelle “provincie delle miniere” tutto tace. Non si ode più il rumore dei macchinari, né si scorge la frenesia del cambiamento.
C’è solo un silenzio assordante, quello di una comunità che ha smesso di sperare.